La Città che viene - STAUROPOLIS

Vai ai contenuti

Menu principale:

Si tratta di scegliere tra una città "liquida", patria di una cultura che appare sempre più quella del relativo e dell’effimero, e una città che rinnova costantemente la sua bellezza attingendo dalle sorgenti benefiche dell’arte, del sapere, delle relazioni tra gli uomini e tra i popoli.
Ben16, a Venezia

  LA CITTA' DI RAMIREZ

In principio non fu il peccato, ma l’Amore.
A questa verità ci restituisce la festa dell’Immacolata Concezione, non appena muoviamo i primi passi dell’Avvento, tempo dell’attesa di Colui-che-viene e, dunque, tempo della Madre, mese veramente mariano.
La verità di un amore che sta all’inizio d’ogni cosa, che precede e genera ogni moto del cuore e delle gambe, l’amore che arriva prima, come Giovanni al sepolcro vuoto il mattino di Pasqua.
Perché quella che chiamiamo redenzione preventiva di Colei che darà alla luce l’Atteso, non è che l’affermazione del diritto di libera circolazione, nel tempo e nello spazio, di Dio e della sua salvezza - così come, peraltro, afferma il dogma della discesa agli inferi -; non è che il riconoscimento di quella sovranità universale dell’Unigenito con la quale il Padre sigilla la sua opera; attesta che, davvero, nulla è impossibile a Dio, e che tutto è possibile per chi crede.
I siciliani lo hanno da sempre saputo, lo hanno sempre creduto.
Già nel XV secolo, l’8 dicembre era festa di precetto nell’Isola, prima ancora che entrasse a far parte del calendario liturgico di Roma. Nel 1643 il vicerè Caprera proclamava l’Immacolata Patrona della Sicilia, mentre lo stesso Filippo IV stabiliva che la Protettrice di tutti i domini del regno doveva essere “ogni anno festeggiata con un novenario, da aprirsi col solenne trasporto dell’immagine più popolarmente venerata, dalla chiesa propria alla chiesa maggiore, e da chiudersi con il riaccompagnamento, altrettanto solenne, della medesima al suo luogo consueto”. Nel 1741 i maggiorenti dell’Isola emettevano il “voto sanguinario”, cioè promettevano di difendere la dottrina immacolista “sino al sangue”, incuranti delle aspre critiche di Ludovico Antonio Muratori che bollava tale voto come un eccesso di culto (ma quando amore - e amore siciliano! - non si legò ad eccesso? Si leggano, ad esempio, le pagine del Trattato della vera devozione del Montfort).
Io, N., spontaneamente riconosco e affermo che la beatissima Vergine Maria, Madre di Dio, fu concepita senza macchia di peccato originale, e questa verità non solo non l’impugnerò mai, ma anzi nelle private conversazioni e pubblicamente, finchè avrò vità, prometto, faccio voto e giuro di insegnare opportunamente e propugnare, secondo le sentenze già pubblicate che saranno pronunziate dai sommi pontefici. Così Dio mi assista e l’Immacolata Maria Madre di Dio, concepita senza peccato originale, e questi santi Vangeli”.
Con queste le parole, al momento del conferimento della laurea, si giurava nella Catania del ‘600, e similmente a Granada, Alcalà, Salamanca. Proprio in quest’ultima Francesco Ramirez, appena undicenne, intraprende gli studi e li corona, accompagnadoli con la bella emissione del voto all’Immacolata. Divenuto vescovo di Agrigento, edifica, in due anni e mezzo, la sua piccola università salmaticense: il Collegio dei Santi Agostino e Tommaso. E’ lui stesso, verosimilmente, a volere che in quella fucina di maestri di Diritto Canonico e di Morale, trovi idoneo spazio l’immagine della Stella del suo cammino. Ma il precipitare degli eventi legati alla controversia liparitana costringono l’ottimo vescovo a lasciare la sede pastorale, senza mai più farvi ritorno.
Saranno i Deputati del Collegio, memori e grati, a commissionare un grande affresco dell’Immacolata, eseguito dall’agrigentino Francesco Nalbone nei primi giorni del giugno 1726 e pagato sei onze. “Bravissimo pittor copista, che avea del gusto” scrive padre Fedele da san Biagio nei suoi Dialoghi sopra la pittura riguardo all’artista, già suo compagno di seminario ad Agrigento.
Dell’opera - assai elegante ed equilibrata, intonata a “devota semplicità” - oltre un terzo, a causa dell’umidità e dell’incuria, oggi è andato definitivamente perduto.
Sarebbe un bel modo di onorare l’Immacolata e, nel contempo, di festeggiare gli undici lustri del nostro settimanale, salvare quanto resta di quest’immagine di Colei che ci ha dato l’Immacolato Salvatore.

Giovanni Scordino, L’Amore Originale, L'Amico del popolo 2.12.10


  LA CITTA' DEL MONTFORT
Tu sei veramente, Dio che ti nascondi (Isaia 45, 15).
Luogo: Romani 6,4.

«La condotta che le tre Persone della Santissima Trinità hanno tenuto nell'Incarnazione e nel primo avvento di Gesù Cristo, la osservano ogni giorno, in modo invisibile, nella Santa Chiesa e la osserveranno fino alla consumazione dei secoli, nell'ultimo avvento di Gesù Cristo» (Trattato della vera devozione - VD - 22). Se Gesù è nato ieri dallo Spirito Santo e da Maria, è ancora dallo Spirito Santo e da Maria che Gesù nasce oggi nelle sue membra. Maria, infatti, non è solo la madre di Gesù, è anche la madre di tutti i suoi fratelli, sue membra.
«Una stessa madre - dice Montfort, apostolo dell'unione ipostatica di Croce e Incarnazione - non mette al mondo il capo senza le membra, né le membra senza il capo. Parimenti, nell'ordine della grazia, il capo e le membra nascono da una stessa madre. E se un membro del Corpo mistico di Gesù Cristo..., nascesse da una madre diversa da Maria che ha prodotto il capo, non sarebbe... un membro di Gesù Cristo» (VD 32).

San Giovanni Paolo II: "... Spesso vedo davanti ai miei occhi un piccolo libricino con la copertina celeste macchiata di soda... Quando ero operaio alla Solvay, lo portavo con me, insieme con un pezzo di pane, per turno del pomeriggio e di notte. Durante il turno di mattina era più difficile poter leggere. Durante il turno pomeridiano spesso leggevo quel libretto; si intitolava: "Trattato della vera devozione alla Santissima Vergine...". Lo leggevo, se così si può dire, da capo alla fine e di nuovo da capo. Da quel libricino ho imparato cosa vuol dire la devozione alla Madonna... Mentre prima mi trattenevo nel timore che la devozione mariana facesse da schermo a Cristo invece di aprirgli la strada, alla luce del trattato di Grignon de Monfort compresi che accadeva in realtà ben altrimenti. Il nostro rapporto interiore con la Madre di Dio consegue organicamente dal nostro legame col mistero di Cristo" .

L'Incarnazione (e il Natale) del Signore nostro Gesù Cristo non ci sta alle spalle: è appena iniziata.
Si è compiuta nel Capo, nella Figlia del Figlio (Maria Bambina!); ora vuole raggiungere le membra, ciascuno di noi, anzi, tutti gli uomini e le donne.

Maria è nostra Madre ex Cruce, ma anche ex Praesepio; Madre secondo lo Spirito, ma anche nella carne: nel Battesimo infatti siamo stati ConCrocifissi, ConSepolti e ConRisorti (cfr. Rm 6 - il Carattere battesimale, sua originale e originante novità), ma pure - nell'unità del Mistero di Cristo - ConGenerati, ConNati. Nell'Eucaristia la nostra carne è abitata e trasfigurata dalla Carne di Cristo: Vera Carne di Cristo il Pane santo, vera Carne di Cristo il corpo inabitato da Lui.

La mediazione dell'utero purissimo della Madre (cfr. ex utero Patris, Concilio Toletano) non è limitata alla generazione del Verbo Unigenito, come pure indissolubilmente - e indubbiamente - l'Opera dello Spirito Santo. «È nella Santissima Vergine Maria che Gesù Cristo è venuto al mondo ed è anche attraverso di lei che deve regnare nel mondo» (Montfort, VD 1). Per opera dello Spirito e per mezzo di Maria: Gesù Cristo è venuto (I Avvento), viene (II Avvento) e verrà (Parusia-III Avvento). Tra queste "venute" c'è una successione necessaria, una sorgente ineludibile, nell'Oggi della generazione del Figlio e, in Lui, dei figli (cfr. VD 32). Nell'Attesa, lo Spirito, la Croce e il Trono (Sedes) "tengono" il posto di Lui nella Chiesa e nella storia (cfr. Etimasia).

Come la creazione e la Chiesa, così anche la Madre è «nelle doglie del parto» fino a quando ogni uomo e donna non sia generato "figlio", fino a quando ogni figlio non sia pienamente tale, nella "piena maturità di Cristo".

Nessuno osi separare il Figlio dalla Madre [Maria all'Inizio e al(la) Fine: la grande inclusione di Luca (e Atti)!] e la Madre dallo Spirito Creatore!

E nessuno osi separare il Primogenito dal gran numero dei suoi fratelli! «Dio Figlio vuole formarsi e, per così dire, incarnarsi tutti i giorni..., nelle sue membra» (VD 31): sembra che manchi qualcosa non solo alle sofferenze di Cristo per il suo corpo, ma anche e in primo luogo alla nascita di Cristo nel suo corpo, che è la Chiesa! Completo, dunque, anche nella mia carne, oggi, quello che manca alla nascita di Cristo per il suo Corpo che è la Chiesa; completo nella mia carne quello che manca alla sua Incarnazione. L'Incarnazione di Dio, infatti, non finisce con Cristo, ma con l'umanità intera.

Se Dio per crearci, ha preceduto la nostra libertà - abdicando alla sua onnipotenza assoluta e abbracciando l'onnipotenza d'amore (cfr. Agostino d'Ippona), completare nella nostra carne ciò che "manca" (Col 1,24 - quoad nos) all'Incarnazione - epifania della Passione di Dio per le sue creature - e alla Nascita di Gesù Cristo (ai Suoi Misteri), è compito di ciascuno. Prima che Gesù ConPatisca in noi, occorre che nasca in noi! E finchè Cristo-Vita non nasce in noi, non si può dire di essere vivi (biologicamente, oltre che spiritualmente).

Gesù è sempre il frutto di Maria e dello Spirito Santo. «Chi dunque vuol avere questo frutto meraviglioso nel suo cuore deve avere l'albero che lo produce: chi vuole avere Gesù deve avere Maria» (Amore dell'Eterna Sapienza, 204; cf. VD 44).

Giovanni Scordino, Signora del Sabato (Appunti XII  2011)

  LA CITTA' DI TOLKIEN
Perché l’audacia ed il coraggio sono appannaggio di cuori giovani

Forgiato da Sauron, l’Oscuro Signore di Mordor, fortuitamente, l’Anello perviene nelle mani ignare di un hobbit, Frodo.
Distruggerlo diventerà la sua missione e quella della Compagnia.
Nel corso della narrazione, perdizione e salvezza sono sempre in bilico in ogni scelta, anche la più piccola ed insignificante, perché da essa discende la vittoria o la rovina della missione e della Compagnia, del “cammino” di ogni individuo.
La tentazione di servirsi degli stessi mezzi del Male, per risolvere positivamente le situazioni, è forte, ma, ricorda Gandalf: “l’Anello ha una sua volontà e risponde solo al suo Padrone”.
Ne Il Signore degli Anelli, come nella vita, ogni vittoria è fondamentale, ma non risolutiva, perché il Male, è sempre in agguato e “come leone ruggente va in giro cercando chi divorare” (1 Pt 5,8), scruta uomini e cose, rende persino i più saggi, stolti, li affascina e li corrompe con la brama del Potere – “ciò che più di ogni altra cosa bramano gli uomini” - ma non può determinarne le vicende, se non con il personale consenso, perché non sono marionette del suo teatrino.
Quando, persa ogni speranza, tutti pregano ed anelano all’azione risolutiva, al miracolo magicamente realizzato, la soluzione non viene da eroi sovrumani, ma dall’afflato di tutti, accomunati e conquistati dalla forza del Bene, che permette di sperare ancora, reagire, lottare; magari affidandosi a chi, apparentemente, non è in grado di farlo e non ha mezzi.

Tolkien ci mostra l’ingannatore, sempre pronto a nutrire le nostre illusioni, le ambizioni, facendoci vedere solo gli aspetti “positivi” di scelte, di compromessi di cui c’è poco da essere fieri.
Ci obbliga a fare i conti con noi stessi, con le dualità interiori. Ci ricorda che un po’ di Gollum è in tutti noi: alter ego che ci spinge a rinnegare l’essenza della natura umana - quella scintilla divina che è nel cuore di ogni uomo - a favore di un’inclinazione al tornaconto, al proprio piccolo orizzonte, che esclude gli altri e ci condanna ad una disperata solitudine. Fino a diventare mostri informi, creature orribilmente ripiegate verso il proprio io, a vivere un’innaturale vita, abbrutita da una vecchiezza interiore, incapace di slanci, priva di speranza.
Perché l’audacia ed il coraggio sono appannaggio di cuori “giovani”, capaci di meravigliarsi e di commuoversi, di cambiare prospettiva ed orizzonti, di non fossilizzarsi nell’egoismo del proprio mondo e dei personali bisogni, ma che sanno partire, lancia in resta, rivestiti con la corazza della fede (1Tess 5,8).
Sembra di ascoltare il Maestro, che ci esorta a non conservare tesssori – onomatopea sibilante il serpente antico - dove la tignola e la ruggine li corrompono, ma ad accumulare un Tesoro in cielo (Mt 6,19-20), a correre per guadagnare il Regno ed il premio di una vita felicemente senza fine (Fil 3,14) perché condivisa.

Maria Grazia Crescente

  APOCALISSEVENTUNO

E Colui che sedeva sul trono disse: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose».
E soggiunse: «Scrivi, perché queste parole sono certe e vere».
E mi disse:«Ecco, sono compiute!
Io sono l'Alfa e l'Omèga, il Principio e la Fine.
A colui che ha sete io darò gratuitamente da bere
alla fonte dell'acqua della vita.
Chi sarà vincitore erediterà questi beni;
io sarò suo Dio ed egli sarà mio figlio.
Ma per i vili e gli increduli, gli abietti e gli omicidi, gli immorali, i maghi, gli idolatri
e per tutti i mentitori è riservato lo stagno ardente di fuoco e di zolfo. Questa è la seconda morte».

Poi venne uno dei sette angeli, che hanno le sette coppe piene degli ultimi sette flagelli, e mi parlò:
«Vieni, ti mostrerò la promessa sposa, la sposa dell'Agnello».

L'angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scende dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino. È cinta da grandi e alte mura con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d'Israele. A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e a occidente tre porte. Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell'Agnello.
Colui che mi parlava aveva come misura una canna d'oro per misurare la città, le sue porte e le sue mura. La città è a forma di quadrato: la sua lunghezza è uguale alla larghezza. L'angelo misurò la città con la canna: sono dodicimila stadi; la lunghezza, la larghezza e l'altezza sono uguali. Ne misurò anche le mura: sono alte centoquarantaquattro braccia, secondo la misura in uso tra gli uomini adoperata dall'angelo. Le mura sono costruite con diaspro e la città è di oro puro, simile a terso cristallo. I basamenti delle mura della città sono adorni di ogni specie di pietre preziose. Il primo basamento è di diaspro, il secondo di zaffìro, il terzo di calcedònio, il quarto di smeraldo, il quinto di sardònice, il sesto di cornalina, il settimo di crisòlito, l'ottavo di berillo, il nono di topazio, il decimo di crisopazio, l'undicesimo di giacinto, il dodicesimo di ametista. E le dodici porte sono dodici perle; ciascuna porta era formata da una sola perla. E la piazza della città è di oro puro, come cristallo trasparente.

In essa non vidi alcun tempio:
il Signore Dio, l'Onnipotente, e l'Agnello sono il suo tempio.
La città non ha bisogno della luce del sole,
né della luce della luna:
la gloria di Dio la illumina
e la sua lampada è l'Agnello.
Le nazioni cammineranno alla sua luce,
e i re della terra a lei porteranno il loro splendore.
Le sue porte non si chiuderanno mai durante il giorno,
perché non vi sarà più notte.
E porteranno a lei la gloria e l'onore delle nazioni.
Non entrerà in essa nulla d'impuro,
né chi commette orrori o falsità,
ma solo quelli che sono scritti
nel libro della vita dell'Agnello.

E mi mostrò poi un fiume d'acqua viva, limpido come cristallo,
che scaturiva dal trono di Dio e dell'Agnello.
In mezzo alla piazza della città, e da una parte e dall'altra del fiume,
si trova un albero di vita che dà frutti dodici volte all'anno, portando frutto ogni mese;
le foglie dell'albero servono a guarire le nazioni.
E non vi sarà più maledizione.
Nella città vi sarà il trono di Dio e dell'Agnello:
i suoi servi lo adoreranno;
vedranno il suo volto
e porteranno il suo nome sulla fronte.
Non vi sarà più notte,
e non avranno più bisogno di luce di lampada né di luce di sole,
perché il Signore Dio li illuminerà.
E regneranno nei secoli dei secoli.
Io vidi la nuova Gerusalemme
 
trova
Torna ai contenuti | Torna al menu